Con il nome di castello delle Grotte si indicano i ruderi del vecchio insediamento che si trova al di sopra dell'abitato attuale di Grotti, la frazione di Cittaducale, a 10 chilometri da Rieti. Gli abitanti di Grotti non hanno più memoria dell'esistenza del castello e si riferiscono a quest'area con il termine di Grotti sfasciate; ma ancora negli anni 30 dell'800, nei certificati di nascita, matrimonio e morte dei grottigiani è presente il riferimento al castello nei nomi delle vie di residenza, come via piedi il castello, capo il castello, fuori il castello, dentro il castello: quest'ultima è di particolare importanza perché indica che il castello nella prima metà '800 era ancora abitato; gradualmente questi nomi sono stati abbandonati e sostituiti e con essi anche il ricordo del castello è venuto meno.
Notizie storiche
Dalle fonti a disposizione, non è dato sapere il momento esatto della sua fondazione: probabilmente il luogo è stato frequentato da sempre, come si può dedurre dalla presenza di testimonianze risalenti al periodo preistorico: nel 1953 l'archeologo Antonio Maria Radmilli rinviene frammenti fittili (forse ceramica a impasto) di tipo preistorico (n.d.r. forse neolitico?), lungo il sentiero che porta alla Madonna dei Balzi e nel detrito di falda ai margini della strada carrozzabile che conduce da Rieti a Grotti; nel 1972 anche Firmiani rinviene presso il santuario della Madonna dei Balzi, reperti fittili risalenti all'età del Bronzo; nell’autunno del 2004 l'archeologo Tommaso Mattioli individua in un riparo sotto roccia, subito fuori l'abitato rupestre, verso est, una serie di pitture rupestri di colore nero attribuibili ad età pre-protostorica (neolitico medio e recente/eneolitico).
La prima testimonianza dell'esistenza dell'abitato in epoca storica è in un documento del 1252, in cui, in un elenco delle chiese del reatino, è menzionata anche la chiesa di Sancto Victorino de Griptis.
La maggior parte delle notizie sulla storia di Grotti si trovano nell'opera di Sebastiano Marchesi, 'Compendio storico di Cittaducale (dall'origine al 1592)'.
Si ricorda che gli abitanti del Castello delle Grotte contribuirono alla costruzione e popolamento di Cittaducale, fondata nel 1308 da re Carlo d'Angiò.
Nel febbraio del 1338, durante la notte, il Castello delle Grotte venne saccheggiato da un manipolo di malviventi, guidati dall'abate fra' Gentile di San Salvatore: gli autori del misfatto furono condannati, per volere dello stesso re, Roberto d'Angiò, a risarcire gli abitanti delle Grotte per i danni subiti.
Nel corso della guerra fra Rieti e Cittaducale alla fine del '400, la zona di Grotti per due volte (nel 1486 e nel 1487) fu teatro di scontro tra i due eserciti.
Nel 1494 Carlo VIII, re di Francia, scese in Italia per reclamare il trono di Napoli e attraversò, con il suo esercito, la valle del Salto; il 24 gennaio del 1495, 200 soldati francesi, di stanza a San Salvatore, tentarono di saccheggiare il castello, ma gli abitanti se ne accorsero e gridando 'Civita, Civita, carne, carne' li terrorizzarono e li misero in fuga: complice la nebbia, e l'inesperienza del territorio, alcuni persero la strada e caddero dalle 'vene', altri affogarono nell'attraversare il fiume Salto. Probabilmente anche per questo episodio nasce la fama attribuita agli abitanti del Castello, di gente rude e dura, capace di sopravvivere in un ambiente tanto inospitale, come ricorda anche il motto sotto l'affresco di Grotti, dipinto in una delle sale del Palazzo Vescovile di Cittaducale, in cui essi vengono chiamati leoni, alludendo probabilmente al carattere feroce e selvaggio!
HIS TIBI DE CRIPTIS IUBERUNT
(SIC) EXIRE LEONES
NAM LICET HAS CRIPTAS
FRIVOLA TECTA PUTES
(trad. I leoni ti ordinarono (così) di andare via da queste grotte, benché, in verità, tu le reputi miseri ripari).
Da un censimento della popolazione di Cittaducale e contado, risultò che nel 1560 nel Castello erano presenti 55 fuochi, cioè 55 nuclei familiari.
Fonti iconografiche
L'esistenza del castello è documentata anche da una serie di testimonianze iconografiche. Si trova ritratto in un dipinto a olio del '500, nella pinacoteca di Rieti.
È presente nel salone delle carte geografiche ai Musei Vaticani, in uno degli affreschi dipinti dal Danti.
In un documento del XVII sec. è raffigurato in maniera del tutto idealistica, con un mura poderose, per simboleggiarne forse l'inespugnabilità e l'importanza strategica.
Ma i documenti più importanti da cui si può comprendere come in effetti doveva essere la rocca sonodue:
in un disegno tecnico di un funzionario del regno di Napoli (inviato dal re Filippo II per constatare i danni fatti dal terremoto del 1703 nel territorio dell'Aquila) si notano due elementi interessanti: l'edificio al di fuori dell'abitato a ovest è indicato come cascina, mentre nella porta orientale sembra esserci un ponte!
L'altro disegno è l'affresco seicentesco nel salone vescovile di Cittaducale, in cui sembra essere confermata la presenza del ponte ed inoltre si possono osservare due altri importanti elementi: le case al di fuori delle mura, il che indica un'espansione dell'abitato già nel XVII sec., e la chiesa di San Vittorino[1] al di sotto dell'abitato, che quindi risale almeno al XVII sec.
Grazie ai suddetti disegni e alle rilevazioni sul campo, lo studioso Roberto Marinelli ha dato una sua ricostruzione del castello delle Grotte "Le vecchie abitazioni sono per
lo più ridotte a grossi avanzi coperti di vegetazione, mentre alcune sono state
mantenute nella loro tipologia prettamente rupestre e riutilizzate come stalle.
Quelle edificate sulla fascia rocciosa inferiore hanno sfruttato il dislivello per
realizzare abitazioni a più livelli, che unite le une alle altre formavano un'unica
cortina muraria. Quelle realizzate sotto la fascia rocciosa superiore hanno
sfruttato le cavità, gli strapiombi ed i ripari naturali, chiusi da muri a sassi.
Percorrendo la cengia naturale sulla quale è costruito l'abitato, lungo la via che
lo attraversa da est ad ovest, si identifica l'impianto abitativo, si evidenziano le
singole case e le grotte diventate abituri, di cui la tradizione ha conservato i
nomi in relazione alla presunta originaria utilizzazione. Lo scenario è di
enorme suggestione: muri antichi si stagliano tra le pareti calcaree ed il cielo, a
picco sulla vallata, che si apre sotto le cenge che attraversano le pareti coperte
solo in parte di vegetazione, dove il villaggio è perfettamente riconoscibile.
Così i resti della torre a pianta circolare, con ambiente seminterrato con
volta, di circa sette metri di diametro, posta in cima al balzo superiore, si ri-
tiene che fosse il carcere: probabilmente si tratta invece del mastio. La grotta
che si apre poco al di sotto, tra le rocce, è considerata l'antico posto di guardia.
L'ampia caverna in alto, al centro del-salto principale e chiusa da un lungo muro merlato, raggiungibile con due lunghe scale appoggiate alla roccia, è chiamata "Grotta delle Zitelle", la cui intitolazione fa supporre un antico uso sacrale del sito, dedicato evidentemente, come per altre cavità del Reatino, alle vergini, alle ragazze nubili, protette in luogo riposto e sicuro. In effetti la funzione della grossa cavità sembra essere quella di una sorta di "Campidoglio", luogo sacro destinato all' estrema difesa, riutilizzata come rocca sormontata dal mastio: una sorta di rustici scolta, terrazza merlata nel punto più elevato ed impervio dell'insediamento. La salita alla Grotta delle Zitelle è possibile con un sistema di due lunghe scale a pioli... La grotta è lunga una quindicina di metri e profonda quattro.
Sotto la Grotta delle Zitelle c'è un'altra lunga e profonda cavità, che taglia tutta la base della parete rocciosa. La parte centrale della cavità è chiusa da un muro, con cui si è realizzato un grosso vano abitativo, recuperato come stalla. Verso ovest la cavità si allarga enormemente fino a formare un ampio strapiombo chiamato "L' eco", perché rimanda curiosamente anche il suono più che provenga dal fondovalle. Sotto il grande tetto naturale sono stati realizzati tre edifici a sassi, di cui il maggiore, eretto a ridosso della roccia, fino a trent'anni fa è stato utilizzato come ricovero dai pastori.
Al sopra del sentiero, ai margini del grande tetto, spiccano i resti di un edificio abbastanza grande, identificato come la vecchia chiesa, dedicata a Vittorino martire, vescovo di Amiterno, all'interno del quale, fino a circa trent'anni fa, erano visibili tracce di affreschi. Successivamente, probabilmente nel XVII secolo, la nuova chiesa di S. Vittorino fu costruita fuori del castello, lungo la via che conduce al fondovalle. Oggi è anch'essa diruta e completamente ricoperta di vegetazione, éssendo stata riedificata nel nuovo villaggio" (Marinelli).
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Fonti
Sebastiano Marchesi, Compendio storico di Cittaducale.
Roberto Marinelli, Malinconiche dimore.
Tommaso Mattioli, L'arte rupestre del riparo sottoroccia di Grotti (Cittaducale, Rieti) in Miscellanea protostorica
https://www.academia.edu/210070/Larte_rupestre_del_riparo_sottoroccia_di_Grotti_Cittaducale_Rieti_
Autore anonimo, Resoconto di una visita pastorale
[1] Da un documento, che racconta la visita pastorale del vescovo Luigi Filippi a Grotti nel 1875, redatto da un anonimo, si legge che quella chiesa di San Vittorino era, a quell'epoca, diruta, priva di tetto e adibita a cimitero, essendo stata costruita quella nuova nell'abitato sottostante; gli abitanti di Grotti chiesero al vescovo di far eseguire le dovute riparazioni e di far costruire una stanza nella parte anteriore per officiare i riti funerari.
IL CASTELLO DELLE GROTTE
